L’Agenzia AGI ha dato notizia della identificazione negli Usa di un biomarker rilevabile dagli esami del sangue e che potrebbe essere utilizzato per predire quali pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali risultano maggiormente a rischio di sviluppare una risposta immunitaria potenzialmente fatale chiamata malattia del trapianto contro l’ospite.
Il biomarker è stato scoperto da un team di ricercatori dell’Indiana University e si tratta della proteina ST2. Lo studio rivela che i pazienti con livelli maggiori della proteina hanno due volte in più le probabilità di ammalarsi di malattia del trapianto contro l’ospite e circa quattro volte di morire nei sei mesi successi al trapianto. I risultati dello studio sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine. La malattia del trapianto contro l’ospite rimane una delle principali cause di morte tra i pazienti che ricevono un trapianto di cellule staminali da un’altra persona, il trapianto allogenico.
Anche i ricercatori italiani sono all’opera su questo delicato fronte. La Dott.ssa Chiara Bonini dell’Istituto Scientifico San Raffaele di Milano, al meeting scientifico organizzato dalla Fondazione InScientiaFides nel giugno scorso aveva relazionato sugli studi condotti per ridurre la ricaduta, ricordando il ruolo dei linfociti T nel riconoscere le leucemie, ma vanno monitorati con attenzione, poiché possono reagire contro i tessuti sani del paziente, provocando una grave complicanza del trapianto: la graft-versus-host disease.
“Stiamo studiando una strategia – ha detto la dott.ssa Bonini al meeting scientifico – che aumenti l’effetto antitumorale e riduca quello di tossicità. Al San Raffaele stiamo utilizzando diverse tecnologie che trasferiscono dei geni all’interno dei linfociti T del donatore con lo scopo di aumentare sicurezza ed efficacia”.
Fonte: Ufficio Stampa InScientiaFides